La Campania è la regione italiana che paga prezzo più alto degli effetti del cambiamento climatico tra alluvioni, frane ed esondazioni: oltre 1,1 miliardi di euro di danni. A Napoli oltre 100.000 cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni.
Nella nostra regione, così come in gran parte d’Italia, la responsabilità dei danni, della melma e del fango che mettono a repentaglio vite umane e mettono a rischio case e strade, va ricercato nell’ assenza di controlli, nella mancanza di una seria e concreta politica di prevenzione e monitoraggio del territorio, nella devastazione e cementificazione di vastissime aree. Con il maltempo ritorna la paura e la ricetta per una Campania sicura passa attraverso l’informazione, prevenzione, delocalizzazione e un grande piano di manutenzione ordinaria del territorio.
In Campania – denuncia Legambiente – sono 504 (oltre il 91% del totale) le amministrazioni comunali in cui sono presenti aree a pericolosità da frana e aree a pericolosità idraulica per una superficie complessiva di 3338,2 kmq corrispondente al 24,4% dell’intera regione. Si stima che solo a Napoli oltre 100mila cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. Con oltre 1,1 miliardi di euro di danni al patrimonio pubblico e privato, la Campania è la regione italiana che paga prezzo più alto agli effetti del cambiamento climatico tra alluvioni, frane ed esondazioni relativo al quadriennio 2013-2106.
“La gestione accurata e sistematica del territorio e la formazione e informazione ai cittadini sui comportamenti da tenere in caso di frane e alluvioni, devono essere una priorità politica. Piuttosto che rassegnarsi alle tragedie annunciate – commenta Giancarlo Chiavazzo, responsabile scientifico Legambiente Campania – serve dunque muoversi su due fronti. Il primo, con efficacia immediata, a costi sostenibili e attuabile in tutte le aree a rischio, in grado di far salve le vite umane, consistente nella messa a regime di sistemi di previsione, allerta e allontanamento, attraverso presidi territoriali, piani di prevenzione, informazione/addestramento delle comunità coinvolte. Il secondo, di tipo strutturale con efficacia nel medio-lungo termine, con costi da programmare nel tempo, a valle di una seria pianificazione, prevedendo prioritariamente la delocalizzazione delle strutture a rischio. Questo- conclude Chiavazzo – è l’unico modo per fronteggiare nell’immediato l’estrema diffusione della problematica del rischio idrogeologico e quindi per salvaguardare le vite umane esposte”.