La scelta della Giunta Regionale della Campania di rispondere all’appello dell’Enea e candidare il territorio regionale per ospitare la macchina sperimentale Dtt (Divertor tokamak test) per la produzione di energia elettrica attraverso la fusione nucleare, è assolutamente da contestare. Il Governatore De Luca parla di opportunità in termini di sviluppo, di occupazione e di ricerca. Niente di più sbagliato. È assurdo che oggi venga previsto anche solo 1 euro di investimento pubblico per una fonte energetica che non garantisce nei tempi e nella tecnologia il percorso già intrapreso e dettato dall’Accordo di Parigi sul clima e dallo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. E come già stiamo facendo in tutta Italia, ci opporremo anche in Campania alla realizzazione di un impianto del genere che va in totale contrasto rispetto all’urgenza di intervento a cui ci obbligano i cambiamenti climatici in atto e alle scadenze previste dagli accordi sul clima.

Così Legambiente commenta la notizia dell’adesione della Regione Campania al bando di investimenti dell’Enea.

Secondo quanto dichiarato da Enea, il progetto Dtt necessita di 7 anni per la sua realizzazione e un periodo di circa 20 anni per la sperimentazione, per poi passare ad utilizzare le conoscenze acquisite sulla successiva macchina demo che avrà il compito di dimostrare la reale produzione elettrica. Per avviare l’esperimento DTT di fondi pubblici da investire se ne prevedono molti, a partire dagli 80 milioni di euro iniziali da parte del MIUR e del MISE tra il 2018 e il 2023, per un investimento totale previsto di oltre 500 milioni di euro tra fondi pubblici e privati.

Enea nel presentare l’esperimento DTT prevede la fine della sperimentazione e l’inizio di produzione di energia elettrica a partire dal 2050, in accordo con i tempi previsti dall’esperimento internazionale, inserendo la fusione come strategica nel contribuire ad una società low carbon. Ma quando nel 2050, il primo kWh da fusione nucleare sarà forse disponibile, secondo il percorso previsto dall’Accordo di Parigi, sarà stata sostituita la gran parte dei combustibili fossili nella produzione elettrica e nel caso dell’Europa, questa sostituzione riguarderà il 100% delle fonti, in favore delle energie rinnovabili.

«Questa – prosegue Legambiente – è al contrario per noi la strada da seguire e su cui ci aspettiamo che vengano investiti fondi pubblici per la ricerca, in favore dello sviluppo di tecnologie e soluzioni verso un futuro totalmente rinnovabile. Oggi quindi il progetto “fusione nucleare” risulta obsoleto, prima ancora che – non si sa quando e con che costi – possa entrare in esercizio una centrale basata su quei principi fisici di funzionamento. Dal punto di vista poi dell’attuale scenario energetico e del ruolo sempre più determinante delle fonti rinnovabili, la fusione nucleare appare un oggetto costoso, ingombrante e niente affatto “pulito”, che si pone come una non più appetibile opzione di scenari del passato. Un aspetto generale, questo, che appare prioritario anche nell’analisi dei rischi, costi, benefici, su cui riteniamo debbano essere condivisi criteri e parametri di valutazione».

Siamo convinti – prosegue l’associazione – che lo stesso sforzo in termini di investimenti e di ricerca, sulle fonti rinnovabili e sull’energia solare in particolare, darebbe risultati molto più concreti e positivi in termini di tecnologia ma anche economici ed occupazionali. Per Legambiente il modello energetico a cui tendere è infatti ben altro, e prevede l’utilizzo dell’energia solare che giunge a tutti noi, senza bisogno di realizzare complessissime e costosissime centrali.

L’altra questione da non sottovalutare riguarda la tecnologia che si andrà a sperimentare. Alla base del DTT c’è la stessa tecnologia impiegata per l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER) per produrre energia elettrica dalla fusione nucleare. Pur dichiarandola una fonte di energia illimitata e pulita, occorre al contrario specificare che la letteratura scientifica disponibile fornisce per la fusione valutazioni dell’inventario radioattivo, quantitativamente minore ma non certo trascurabile rispetto a rischi e danni sanitari della fissione. La fusione nucleare di Deuterio e Trizio, che si vorrebbe utilizzare per produrre energia con il progetto ITER e di cui in Italia si vorrebbe sperimentare una parte (DTT), produce neutroni che rendono radioattive le strutture e generano scorie radioattive: non le stesse scorie radioattive che vengono generate dalle classiche centrali nucleari “a fissione”, ma di altro tipo, meno durature, ma sempre radioattive. Ci aspettiamo quindi che prima ancora di arrivare all’avvio delle procedure di selezione dei siti e di erogare finanziamenti pubblici per l’avvio dell’esperimento vengano esplicitate alcune questioni, attraverso una procedura di coinvolgimento e trasparenza che fino ad oggi è mancata.

 

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